Lo scorso 15 aprile, la Germania ha spento le sue ultime tre centrali, ma alcuni Paesi europei sembrano manifestare l’intenzione di pianificare nuovi impianti. L’Italia è circondata da nazioni, come Francia, Svizzera e Slovenia, che basano buona parte della loro produzione elettrica sul nucleare. Altri reattori sono poco distanti da noi, in Ungheria, Bulgaria e Slovacchia.
In questo scenario controverso, in cui molte nazioni dicono no al nucleare, mentre altre pensano alla eventuale costruzione di nuovi reattori è giusto interrogarsi su quale sia la scelta migliore in termini di efficienza, sostenibilità e costi.
Fonte: World Nuclear Association
Lo abbiamo chiesto a Nicola Armaroli, chimico e Dirigente di ricerca presso il CNR, la cui attività si concentra anche sulla transizione energetica. Con oltre 250 articoli scientifici e vari libri sul tema energia è divulgatore scientifico e direttore della rivista Sapere. È tra gli scienziati italiani più citati in ambito internazionale. E anche socio Tesla Owners Italia e possessore di una Tesla Model 3.
Ha senso questo incremento di nuovi reattori o è forse più corretta la scelta di Italia e Germania di rinunciare al nucleare?
N.A.: “In realtà il nucleare pesa sempre meno a livello mondiale. Venticinque anni fa rappresentava circa il 18% nella produzione elettrica, una percentuale che oggi è sostanzialmente dimezzata. La sua rilevanza è quindi in netto calo. Prendiamo l’esempio della Cina: in 30 anni ha messo in linea circa 50 GW di nucleare, ma l’anno scorso ha installato più di 100 GW di eolico e fotovoltaico. Quindi anche se la Cina è il più grande investitore nel settore nucleare, la crescita delle rinnovabili in quel Paese è incomparabilmente superiore.
Fonte: IEA
Bisogna anche sottolineare che dei 57 reattori in costruzione nel mondo la stragrande maggioranza di questi sono di tecnologia cinese e russa. Va ricordato inoltre che una delle poche aziende che non è stata toccata dalle sanzioni internazionali contro la Russia è proprio la potentissima Rosatom, colosso della tecnologia nucleare che controlla moltissimi reattori dell’Europa dell’est. Se fosse stata sanzionata avrebbe mandato in crisi una parte importante del sistema elettrico europeo. Il sistema nucleare europeo è legato moltissimo alla tecnologia russa e questa dipendenza non è inferiore a quella che è stata la dipendenza dalla Russia sul gas o dalla Cina sulla manifattura delle rinnovabili.
La situazione francese è particolare e molto delicata perché una nazione non può basare più del 70% della produzione di energia elettrica su una sola tecnologia e questo la Francia lo sta pagando. Molti reattori (vecchissimi) sono in manutenzione a causa delle severe regole dell’agenzia di controllo nucleare. Anche il futuro del nucleare in Francia è pieno di interrogativi.”
Ultimamente si parla sempre più spesso di minicentrali per ridurre le scorie e aumentarne l’accettabilità sociale. Ne è un esempio la centrale costruita su una nave al largo della Siberia. È questa una via percorribile?
“I minireattori con una potenza intorno ai 300 MW si studiano da decenni perché sono tecnologie di derivazione militare. In realtà nel corso del tempo si è sempre cercato di aumentare le dimensioni dei reattori nucleari per ridurre i costi e aumentare l’efficienza. Quest’ultima aumenta con la taglia dell’impianto, perché si ottiene una migliore gestione del calore prodotto.
Per decenni si sono costruite centrali sempre più grandi per ragioni tecniche e di sicurezza e non ultimo per un controllo dei costi. Resta tutto da dimostrare che fare il contrario, cioè costruire reattori più piccoli, sia la strada giusta per ridurre costi, efficienza e il rischio di incidenti.
Secondo il National Renewable Energy Laboratory il materiale impiegato per TWh per la costruzione di impianti nucleari è tra i più bassi se confrontato con altri impianti di produzione di energia e la vita media è la più alta. Come commenta questi dati?.
Fonte National Renewable Energy Laboratory
“La vita utile dichiarata di 80 anni per il nucleare è abbastanza ottimistica. Sono coerenti i dati sull’eolico che ha parti in movimento e quindi è maggiormente soggetto a usura, mentre per il fotovoltaico ci sono impianti che hanno quasi 40 anni, e sono ancora operativi. Il vantaggio del fotovoltaico – che è anche uno dei suoi punti di forza – è che non ha parti in movimento e dunque l’usura è minima.
Sulla base di questi dati, il nucleare sulla carta è un’ottima opzione. Si producono infatti grandi quantità di energia senza emissioni di CO2 in un’area molto piccola, con l’impiego di significative quantità di acciaio e cemento, ma spalmati su tanti decenni di vita dell’impianto nucleare. Quindi la domanda è: se il nucleare è davvero un’opzione vincente perché non ha sfondato a livello mondiale? E non si può sempre dire che non si è fatto il nucleare perché la gente non lo vuole. Troppo facile dare la colpa ad altro. Le ragioni sono più profonde e intrinseche alla tecnologia stessa.
I motivi del fallimento del nucleare sono i tempi di costruzione e i budget iniziali, che vengono sistematicamente sottostimati di 2,3,4 volte, con solo rare eccezioni in Asia orientale. Tutto questo allontana gli investitori. C’è anche un problema innegabile di accettabilità sociale, che non è il problema principale, ma di cui occorre tenere conto. Le persone sono scettiche nei confronti di questa tecnologia che doveva essere sicura, ma non si è rivelata tale. Nel corso degli ultimi 70 anni gli incidenti che venivano definiti “improbabili” sono purtroppo accaduti. E infine, con il recente conflitto in Ucraina, abbiamo scoperto che le centrali nucleari non sono state pensate all’interno di uno scenario di guerra. E questo ulteriore fattore di rischio certamente non avvicinerà gli investitori.”
Altro tema su cui indagare è quanto i materiali impiegati per la costruzione degli impianti siano riciclati e riciclabili perché questo è un tema che impatta sui costi e sulla sostenibilità.
Fonte World Nuclear Association
“Questo è un punto chiave che viene spesso trascurato. Certamente i rifiuti radioattivi delle tecnologie oggi disponibili non verranno mai riciclati. Il loro destino è essere tombati in depositi geologici in profondità, dove dovranno rimanere “al sicuro” per centinaia di migliaia di anni. In Finlandia sta per entrare in funzione un deposito di questo tipo e non sono mancate dure polemiche sulla sicurezza dell’impianto. In realtà nessuno può garantire che un impianto – qualsiasi impianto – possa essere sicuro per 240 mila anni, un termine temporale che corrisponde a decine di civiltà umane. È un’eredità che consegniamo alle future generazioni, che non hanno neanche goduto dell’elettricità prodotta da quei materiali. Alla faccia della giustizia intergenerazionale.
A questo proposito mi piace citare la frase di una ricercatrice americana che dice che i sostenitori del nucleare ritengono che l’umanità sia così intelligente da riuscire a mettere in sicurezza per 200.000 anni le scorie nucleari e così stupida da non riuscire ad accumulare energia elettrica da fonti rinnovabili per una notte. Mi sembra renda bene l’idea del paradosso della discussione in corso su transizione energetica ed elettrificazione.”
Il potere delle batterie
Altro tema fortemente dibattuto dai fan del nucleare è la sostenibilità delle batterie e il loro smaltimento. Abbiamo chiesto a Daniele Invernizzi, formatore e progettista, presidente di eV-Now! Electric Coach per InsideEVs e fondatore di Tesla Owners Italia, il punto della situazione sulle batterie
D.I: “Siamo circondati da batterie al litio e ne siamo dipendenti direttamente o indirettamente. C’è un processo di crescita in ricerca e sviluppo che è inarrestabile. Il petrolio ha impiegato 150 anni per raggiungere una penetrazione e una dipendenza così forte. Le batterie in meno di 30 anni hanno già creato una positiva dipendenza perché tutto quello che c’è all’interno può essere riutilizzato. Quando il petrolio è bruciato è svanito, non si recupera più. Noi dobbiamo utilizzare tecnologie e materiali che possiamo riutilizzare velocemente.
Abbiamo scoperto che abbiamo la grandissima opportunità di costruire accumulatori elettrochimici con diversi materiali, come il sodio. Se continuiamo a investire in ricerca e sviluppo per le batterie, non solo per le auto elettriche, ma per qualsiasi device, potremmo costruire batterie con qualsiasi materiale disponibile in Europa. Quindi se in 25 anni siamo riusciti a creare delle batterie così performanti, vi immaginate in altri 20 anni – quando non saremo riusciti neanche a costruire una centrale atomica – che diamine di batterie avremo?”
La transizione è già qui
In conclusione le tecnologie per la transizione energetica sono già qui e sono già pronte: pannelli fotovoltaici, impianti eolici, batterie di accumulo. I cittadini hanno la possibilità di produrre energia in casa propria e la vera forza delle rinnovabili è proprio la diffusione sul territorio in contrasto con l’accentramento dei grandi impianti di produzione. Basterebbe solo questo per dire che le rinnovabili hanno già vinto.
È indubbio però che in alcune situazioni come nei centri storici è più difficile rendersi autonomi energeticamente rispetto a una casa indipendente, ma l’obiettivo deve essere quello di cominciare da quello che si può fare in base al proprio senso di responsabilità e delle proprie possibilità. Il cambiamento deve cominciare dal basso!
Di questo e altro ne abbiamo parlato con Nicola Armaroli, Daniele Invernizzi, Pierpaolo Zampini e Luca Del Bo nella diretta streaming di lunedì 17 aprile.