“Il navigatore della Tesla ha appena terminato i conti: sono 3.234 i chilometri percorsi, attraversando 5 paesi da Milano fino a Krościenko in Polonia nostra destinazione al confine con l’Ucraina. Una spedizione che parte sull’onda dell’entusiasmo e incoscienza, del desiderio o forse della necessità di fare qualche cosa per questa popolazione così ingiustamente colpita.
Partiamo da Milano con il buio, i primi raggi di sole fanno capolino mentre passiamo da Linate colorandola di rosso: associo l’aeroporto al volo al colpo di ali, con l’auspicio, che possa essere un buon presagio per il popolo Ucraino perché possa con un colpo d’ala risollevarsi da questa situazione e volare verso la normalità improvvisamente interrotta.
Il viaggio inizia in modo fluido lungo la strada ci fermiamo prima Mogliano Veneto poi a Palmanova dove altri proprietari di Tesla e giovani ci consegnano dei materiali che hanno preparato per partecipare alla spedizione segnale forte di quanta empatia le persone riescano a manifestare in queste occasioni.
Ci congiungiamo con Camillo, Eugenio, Giovanni e Attilio, Tesla owners che hanno aderito come noi a questa iniziativa senza pensarci per un attimo. Non li conosco, ma ci vuole molto poco per trovarci così fortemente ed emotivamente in sintonia avendo già un afflato cosi forte in comune: ed è subito magia.

Il viaggio scorre veloce ci passiamo le informazioni per fare le “vignette” autostradali online che ogni paese richiede per percorrere le autostrade. Passiamo in velocità la Slovenia, la rampante Ungheria attraverso la Slovacchia che offre ancora l’ostinazione del suo passato Sovietico ed il lento ingresso del presente moderno. Si fanno notare i fumi dei camini a legna che riscaldano le case, nonostante il sole la temperatura è improvvisamente scesa a – 8 gradi il freddo è palpabile prima ancora che percepito.
La moderna ed emancipata Polonia mi impressiona per la presenza di ampi cimiteri ben visibili con le tombe quasi ostentate, come a segnalare la religiosità di questo paese. L’arrivo a Kosice a notte fonda ci porta nel buio delle nostre riflessioni: domani è il grande giorno e non sappiamo cosa ci possa aspettare non sappiamo nemmeno quanto vicini saremo alla guerra, ma anche il silenzio qui appare rumoroso.
Ci divideremo in due gruppi per raggiungere il confine: uno andando direttamente, l’altro passano 260km più a nord per raggiungere il supercharger di Trzebownisko e ridurre a 100km il percorso alla dogana Krościenko – Smolnica. È solo uno dei tanti nomi di città impronunciabili che però raggiungiamo con disinvoltura e inconsapevolezza affidandoci ciecamente ai navigatori.
Il paese di Krościenko nostra meta, assomiglia ad un qualsiasi paese delle nostre campagne appenniniche marcatamente agricolo ma con pianori che potrebbero benissimo ospitare un comprensorio sciistico. Tutto è estremamente pacifico, tranquillo, si incrociano trattori, persone che passeggiano addirittura qualche corridore che si allena.
L’ultimo chilometro è segnato dalla presenza di auto e furgoni parcheggiati lungo il ciglio della strada e infine si arriva al confine. Siamo a circa 400mt di altitudine la campagna intorno è imbiancata. Ci sono tende piantate sui due lati della strada e diversi falò accesi. Ci sono tantissimi mezzi, auto furgoni, stipati con ogni genere di materiale necessario, in attesa. Potremmo essere in coda per prendere un traghetto. Per tutti la stessa procedura: passeremo la dogana Polacca e quella Ucraina che sono attigue per scaricare le nostre merci e consegnarle a Natalia che le farà caricare su furgoni pronti a ripartire per ricoverarli in un centro che li smisterà nei vari luoghi di necessità sul territorio Ucraino.

Si vedono arrivare alcuni profughi, molti pochi per la verità. Appaiono dal nulla tutti a piedi passano lungo una serie di tende verdi ed arancioni dove vengono rifocillati, esaminati e curati.Non riesco a resistere e mi avvicino ad un capannello che si è formato all’uscita delle tende. Sono tutte donne con bambini: arrivano prevalentemente da Kharkiv e Kiev su treni sovraffollati seduti per terra nei corridoi.
Sembra surreale hanno la vita in un trolley, in un passeggino, mi impressiona che molte hanno la gabbietta per il gatto o per il cane. Attendono con dignità di essere caricate su un pulmino che le porterà verso Przemyśl il centro di raccolta che i polacchi hanno predisposto, 70 km più a nord. Sono tutte cordiali, alcune sorridenti, tutte con una cieca fede nella capacità forze armate Ucraine di sconfiggere il nemico Russo. Si dicono certe di ritornare a casa dopo poche settimane.
Dopo avere scaricato raggiungiamo il centro profughi di Przemyśl: ricavato da un Centro Commerciale Tesco abbandonato appare subito come un miracolo dell’ingegno polacco e della laboriosità dei volontari. Il grande parcheggio è diviso in due una parte per le auto ed una per van e bus. In fondo tende di prima assistenza con indumenti, accessori vari, mense e bagni trasportabili. Fuochi accesi un po’ ovunque. Arrivo nel buio della sera, tutto è silenzioso, tranquillo, non ci sono indicazioni, ma tutti si muovono come se sapessero già cosa fare ed io non faccio eccezione.
Parcheggio tra le altre auto e mi aggiro per il parcheggio. L’ingresso è illuminato, molta gente che si muove, entra ed esce in una calma che mi appare surreale. Appena entrati c’è un capannello di persone che mostrano dei pezzi di cartone sui quali sono segnate con un pennarello nomi di città diverse: sono gli autisti volontari come noi che indicano la città verso la quali offrono il passaggio.
In un primo salone ci si registra: una colonna per gli autobus una per le auto. Poche indicazioni ma tutto terribilmente chiaro ordinato per quanto basico. Le volontarie sono di nazionalità diverse potremmo essere in una comune di figli dei fiori degli anni settanta se non sapessi dove sono e perché mi trovo li. Mi registro. La volontaria verifica i miei documenti e fa indossare un braccialetto con un numero riportato nel foglio con i miei dati: quando troverà dei profughi dovrò solo aggiungere i dati del loro braccialetto. Quello sarà il documento di viaggio riconosciuto da tutte le Polizie nel caso venissi fermato lungo il tragitto.
Mi addentro con il mio cartello lungo l’interno del centro commerciale. I vari negozi sono stati contrassegnati con un numero con una bomboletta spray. All’interno letti. Ad ogni numero corrisponde un paese di destinazione desiderata. Cammino lungo questi lunghi corridoi tutto è così incredibilmente tranquillo, direi surreale. Ci sono piccoli capannelli di persone che conversano moltissimi volontari: i più giovani giocano con i bambini. C’è persino un angolo dedicato agli animali domestici: attrezzatture cibo o solo un punto di ritrovo per parlare di un tema condiviso e creare un pizzico di normalità forse.
Nel padiglione italiano ci sono persone della Protezione Civile che in modo molto cortese danno sintetiche informazioni dicendo che non ci sono profughi per l’Italia, ma garantiscono lavoro a chi volesse fermarsi ad aiutare. Tutto intorno brandine e letti: una disposizione che ho visto nei ricoveri dopo i terremoti. L’emozione cresce ogni momento nonostante tutto sia così calmo e civile o forse proprio per quello.

Continuo a girare con il mio cartello ben in evidenza; è calata la sera, non riesco a staccare gli occhi da queste donne che si muovono con passo soffice il mio cuore batte pieno di tristezza, empatia e sconforto insieme. Ai bagni interni c’è una fila disciplinata e altra angoscia cresce in me. Come è possibile che persone così dignitose, buone e civili debbano essere costrette a tale sacrificio e sofferenza?
Perché persone buone e miti debbano potenzialmente essere prima sottoposte allo sradicamento delle proprie case e forse divenire vedove ed orfani?Dove si è nascosto il nostro ed il loro Dio? Ora le mie emozioni crescono in modo ancora più forte non riesco a trattenere le lacrime. Continuo a girare il mio cartello in vista.
Arrivano nuovi profughi, arrivano stanchi dopo un viaggio lunghissimo i bambini avvolti nelle coperte isotermiche in silenzio con civiltà si registrano; non si lamentano non imprecano si muovono con calma e dignità regale. Vorrei urlare io per loro. Non resisto mi avvicino a loro li annuso e sorprendentemente mi accorgo che non hanno odore: profumano di innocenza e bontà. Il loro profumo e forte come il loro silenzio le lacrime inondano il mio viso e la frustrazione per non avere braccia abbastanza grandi per abbracciarli tutti mi pervade insieme al senso di impotenza.
Nonostante sia chiaro che per la notte non ci sia nulla da fare, mi ostino a girare con il mio cartello. Non riesco ad allontanarmi da questo centro popolato solo da meravigliose persone, forse per aggrapparmi alle loro virtù che tanto si contrappongono alla guerra che imperversa a poco centinaio di chilometri di distanza.”
di Luca De Ponti
