Il passato glorioso dell’industria automobilistica italiana esiste ancora? Il rapporto tra il governo e i costruttori e le politiche a supporto del settore, stanno profondamente modificando la produzione e il mercato automobilistico. E non solo in Italia. Anche il mondo dei media sta giocando un ruolo importante, tra pressioni dalle case automobilistiche e disinformazione.
Ne abbiamo parlato nella nostra diretta del lunedì con Carlo Bellati, giornalista di AutoMoto.it, profondo conoscitore del mondo automotive, con particolare attenzione ai veicoli elettrici, con Carlo Tritto di Transport&Environment, Federazione Europea per il trasporto e l’ambiente e con Luca Sut ex parlamentare nella Commissione Attività Produttive della Camera.
“La situazione che dobbiamo descrivere è desolante – inizia Carlo Bellati, parlando del settore automobilistico italiano oggi – Avete presente l’industria automobilistica inglese negli anni ‘40 e ‘50, che una volta era tra le prime al mondo? Oggi molte delle sue marche sono sparite. L’Italia sta facendo la stessa fine. Negli anni ‘60, ad esempio, l’Italia produceva 2 milioni e 400 mila veicoli all’anno, comprese le auto commerciali. Avevamo una fetta enorme dell’industria automobilistica mondiale, esportavamo in tutto il mondo: Giappone, Europa, Sudafrica, Stati Uniti, Australia. Oggi, nel 2024, chiuderemo l’anno con meno di 400 mila auto prodotte. È una regressione spaventosa, soprattutto se pensiamo al ruolo storico di questo settore nell’economia nazionale. Stabilimenti chiusi, industrie vitali come Marelli e Comau vendute. Le fabbriche non vengono aggiornate, e questo causa un enorme deficit strutturale.”
Chi produce in Italia?
Sulle strade italiane si vedono molte DR o Evo definite da qualcuno come le uniche prodotte in Italia.
“In effetti DR è spesso definita come italiana – prosegue Carlo Bellati – ma in realtà è stata indagata dall’AGCOM per dichiarazioni fuorvianti. Le auto che vende non sono prodotte interamente in Italia. Tuttavia, questo è un problema minore rispetto alla situazione generale dell’industria italiana. Oggi l’unico produttore italiano è Stellantis, con i marchi Fiat, Alfa Romeo, Lancia e uno spin-off non indifferente: Ferrari. Stellantis sta facendo “il bello e il cattivo tempo”, soprattutto il cattivo, chiudendo stabilimenti come Mirafiori, che praticamente non produce più. Anche gli altri stabilimenti stanno affrontando difficoltà nella transizione verso la produzione di auto elettriche. E siamo in ritardo, sia per mancanza di aggiornamenti strutturali sia per l’assenza di una produzione nazionale di batterie.
Automotive e innovazione in Italia
Ma davvero le aziende automobilistiche italiane sono vecchie? Forse questo può essere vero se si guarda solo ai grandi colossi, ma in Italia ci sono tante piccole e medie aziende che investono molto e sono tecnologicamente avanzate.
“Dobbiamo dire che sulla componentistica in Italia abbiamo creato una filiera straordinaria – racconta Daniele Invernizzi, Electric Coach, Presidente eV-Now e co-fondatore di Tesla Owners Italia – in grado di produrre componenti di alta qualità. Tra l’altro, abbiamo più volte visto che anche Tesla si rivolge all’Italia quando cerca componenti di qualità, in particolare per materiali come l’alluminio o per componenti specifici. Ricordo, ad esempio, che alcune delle tecnologie legate alle Giga Press di Tesla includono il genio italiano, così come molti altri componenti nascosti che spesso non vediamo.”
“Tuttavia, se dobbiamo sottolineare alcuni settori in cui siamo indietro o che richiederanno tempo per essere sviluppati, questi sono quelli strategici, come quello delle batterie, che in Italia è stato affrontato con molte esitazioni. Non abbiamo un’industria delle batterie da riconvertire. Faccio un esempio: nella meccanica di precisione o nella produzione di valvole e componentistica per motori endotermici, l’Italia ha una filiera solida e avanzata. Ma se guardiamo al settore dell’elettrochimica o delle batterie, non esiste un’industria: dobbiamo costruirla da zero, e questo richiede miliardi di euro di investimenti.”
“Abbiamo comunque una filiera avanzata nei motori elettrici, con forte ricerca e sviluppo. Tuttavia, il problema è che l’industria automobilistica richiede volumi enormi. Non possiamo limitarci a essere “artigiani” di componenti specifici, dobbiamo diventare industriali. Anche se abbiamo il miglior prodotto del mondo, se non riusciamo a soddisfare i volumi richiesti dai costruttori automobilistici, non ci considerano e non ci affidano contratti.”
“È vero, quindi, che abbiamo un’industria di precisione eccezionale, ma dobbiamo affrontare la sfida dei volumi, soprattutto nell’elettrificazione. In questo ambito, c’è un altro aspetto interessante: quello della ricarica ad alta potenza in corrente continua. Siamo leader di mercato in questo settore, e le stazioni di ricarica più richieste in Europa sono italiane, anche in prospettiva dei mega charger.”
“In conclusione, possiamo dire che, mentre siamo ben posizionati in alcune aree, come la ricarica e la precisione meccanica, dobbiamo industrializzare altri settori, come batterie e motori elettrici. Per farlo, servono due cose fondamentali: una politica che sostenga e agevoli l’industrializzazione e, ovviamente, ingenti investimenti economici.”
“È vero che la tecnologia italiana è stata predominante in settori come quello dei materiali leggeri, come il carbonio e l’alluminio. – prosegue ancora Carlo Bellati – Però una cosa è la tecnologia che abbiamo in Italia, un’altra cosa sono le fabbriche. Molti operatori che erano presenti sul mercato italiano stanno trasferendo le loro fabbriche all’estero per una ragione molto semplice: i costi sono più bassi in paesi come Turchia, Spagna, Polonia e Repubblica Ceca. Quindi, anche se il know-how italiano e la nostra eccellenza tecnologica restano, la produzione si sta spostando altrove. Faccio un esempio: l’azienda multinazionale Lear che produceva sedili e componentistica automobilistica a Torino, ha chiuso lo stabilimento e trasferirà la produzione all’estero. Questo perché non c’è più domanda sufficiente da parte dell’industria italiana per componenti così avanzate.”
Automobili, politica e incentivi
Una forte spinta all’elettrificazione può venire dalla politica con incentive e manovre ad hoc per spingere il mercato. Luca Sut che nella passata legislatura è stato nella Commissione Attività Produttive della Camera e, insieme al collega Giuseppe Chiazzese, si è occupato proprio di questo tema.
“Ci siamo trovati con un campo abbastanza libero, – racconta Sut – perché non c’era molto interesse su questa tematica. Abbiamo potuto lavorare bene, anche grazie alla collaborazione con associazioni come Transport & Environment e Motus-e, con cui abbiamo portato avanti diverse proposte.”
“Nel 2019 siamo stati i primi a introdurre incentivi per le auto a basse emissioni, che poi abbiamo cercato di aumentare negli anni successivi, perché servono per spingere le auto elettriche. Naturalmente, questi incentivi devono gradualmente ridursi man mano che scendono i prezzi delle auto elettriche. Però, la difficoltà maggiore che abbiamo sempre trovato è combattere contro una visione politica che va contro il cambiamento, sostenendo un’ideologia contraria alla transizione ecologica.”
“Anche se ora non sono più in Parlamento, continuo a seguire il tema da vicino. Purtroppo, devo dire che l’interesse politico in questo campo è ancora molto scarso. Molte delle proposte che abbiamo lasciato alla fine della scorsa legislatura sono rimaste inascoltate, e questo si riflette nelle scelte dell’attuale governo. Ad esempio, mentre da una parte la presidente Meloni dialoga con la Cina parlando di industria futura, dall’altra qui in Italia non si portano avanti azioni concrete per l’innovazione. Anzi, c’è una denigrazione costante della mobilità elettrica.”
“Un altro tema su cui abbiamo lavorato nella scorsa legislatura, e in cui credo molto, è quello del recupero delle materie prime. L’industria italiana dovrebbe puntare su questo per prepararsi al futuro. Anche se oggi non ci sono molte auto elettriche da cui recuperare materiali, tra qualche anno questa sarà una necessità. Inoltre, il riutilizzo delle batterie per scopi stazionari, nel loro second life, sarà cruciale.”
“Il treno della transizione è già in corsa, ma quello che vedo da parte di questo governo è un tentativo di fermarlo a mani nude. Parlare di dazi in Europa, come abbiamo sentito, porterà conseguenze negative, non solo per i produttori cinesi, ma anche per quelli europei che producono o esportano in Cina.”
“Molte aziende, anche di medie dimensioni, stanno capendo che non ci si può fermare, ma bisogna guardare al futuro e innovare, altrimenti si è già fuori dai giochi. Chi saprà farlo, come molte aziende della componentistica, potrà non solo sopravvivere, ma prosperare. Per quanto riguarda invece le grandi case automobilistiche italiane, credo che i fatti degli ultimi anni parlino da soli. Fiat, ad esempio, con la 500 elettrica ha fatto un passo nella giusta direzione, ma serviva di più, serviva una macchina per le masse.”
Auto elettriche più piccole e più economiche: a che punto siamo?
Il mercato pare chiedere auto elettriche a prezzi più accessibili. L’esaurimento in poche ore degli incentivi stanziati per l’acquisto di auto a batteria nello scorso mese di giugno sembra dire che gli italiani sono pronti ad acquistare auto elettriche, purché scendano i prezzi. Anche le utilitarie elettriche oggi in commercio hanno costi troppo elevati.
“Cinque anni fa, quando i primi modelli di auto elettriche sono iniziati a uscire, più in Europa che in Italia, i costi delle auto, delle batterie e delle tecnologie erano stratosferici. – prosegue ancora Carlo Bellati – Era impensabile affrontare il segmento B o addirittura il segmento A, cioè le auto che forse servono di più in questo momento, con i costi di cinque anni fa.”
“L’industria automobilistica non può schioccare le dita e produrre subito auto elettriche per tutti. Neanche Tesla ha ancora fatto un’utilitaria. Perché non riescono a sostenere il costo di una macchina da 25.000 dollari, infatti ne costerà 30.000. Nemmeno Dacia è riuscita a fare un’utilitaria a un prezzo basso, o meglio, c’è riuscita a malapena facendola produrre in Cina. In Europa oggi non si può produrre un’auto elettrica a un prezzo reale (non incentivato) di 15.000 euro. Un’auto elettrica prodotta in Europa, per quanto economica possa essere, come la nuova Grande Panda che sta per uscire, costa 25.000 euro. E la gente, oggi, in Italia, quei soldi non li ha, o comunque non vuole spenderli.”
“Non è un passaggio facile. Dire “dovevano fare le auto piccole” non è corretto, perché non potevano. I costi non avrebbero mai coperto il prezzo di vendita. Avremmo finito per avere un’auto piccola che costava 60.000 euro. Non avrebbe avuto senso.”
I limiti imposti dall’UE
L’obiettivo del 2025 di riduzione delle emissioni di C02 è dietro l’angolo e l’industria automobilistica europea, ancora una volta, chiede dei rinvii. Le regole saranno troppo stringenti – dicono – e si rischiano posti di lavoro.
“È una scena che abbiamo già visto. – ci spiega Carlo Tritto di Transport& Environment – Nel 2020, quando sono entrati in vigore i primi standard di CO2 sui costruttori di automobili, sembravano irraggiungibili. Eppure, una volta applicati, abbiamo assistito a un picco nelle vendite di auto elettriche. Qui bisogna fare una piccola riflessione su quella che è stata la tendenza dei produttori europei tra il 2020 e il 2025. Sapevano che il secondo step della regolamentazione europea sarebbe entrato in vigore nel 2025, ma anziché prepararsi con politiche industriali adeguate ad affrontare il mercato di massa, si sono concentrati sulla vendita di veicoli sempre più grandi, come i SUV, massimizzando i profitti. Questo ha rappresentato un problema, anche dal punto di vista delle emissioni, ma sono veicoli senza dubbio più redditizi.”
“Abbiamo visto che molti costruttori hanno registrato profitti più alti pur vendendo meno auto. Nel frattempo, altre potenze, come la Cina, hanno preso un vantaggio significativo nella produzione di auto elettriche, che ormai sono il presente, non più il futuro, e ci stanno superando in questo settore.”
“Un altro fenomeno che abbiamo osservato è che il costo delle auto elettriche in Europa è aumentato di circa un terzo, mentre in Cina è sceso del 50%. Ecco perché è cruciale mantenere in vigore questi standard: sono proprio ciò che spingono i costruttori a produrre le auto che il mercato oggi richiede. Spesso si dice che il costo delle auto elettriche è troppo alto, ma questo avviene perché i segmenti di mercato prodotti non sono quelli di massa. Il segmento B, ad esempio, è stato trascurato dai costruttori europei, lasciando un grande vuoto ora colmato dai competitor cinesi.”
“Per questo motivo, il regolamento sulle emissioni di CO2 è fondamentale. Infatti, con l’entrata in vigore dei nuovi standard il prossimo anno, vedremo tutti i principali produttori europei lanciare sul mercato modelli più piccoli e più accessibili, come la R5, la eC3 e la ID.2, che serviranno il mercato di massa con prezzi più contenuti. Tuttavia, siamo in ritardo e stiamo subendo un attacco al nostro mercato.”
“Abbiamo anche sviluppato un’analisi sugli effetti comparati dell’introduzione dei soli dazi, recentemente approvati a livello europeo, rispetto al 25% di penetrazione dei modelli prodotti in Cina. Questo include non solo i marchi cinesi, ma anche quelli internazionali che producono in Cina. Se ci affidiamo solo ai dazi, questa penetrazione aumenterà nel 2025. Ecco perché è importante mantenere lo standard delle emissioni: combinando dazi e regolamenti, possiamo spingere i costruttori europei a produrre modelli più accessibili, riducendo così la quota di penetrazione cinese al 20% nel 2025 e progressivamente al 18% nel 2026, secondo le nostre stime.”
“Questo gioco delle deroghe e dei posticipi degli standard è uno scenario già visto, che non ci aiuta in alcun modo. La tecnologia e il mercato avanzano, e invece di colmare il divario con altre potenze industriali, lo stiamo ampliando.”
“Il tema è interessante. Abbiamo parlato di cosa è stata la Fiat, dei modelli e dei volumi di produzione di 10, 20, 30, 40 anni fa. Anche noi abbiamo studiato l’evoluzione di Fiat e, nel momento in cui avrebbe dovuto fare il passo più importante, ovvero produrre piccole auto elettriche accessibili per il mercato di massa, si è invece allineata alla tendenza europea di produrre meno auto, più grandi e con profitti più alti. Ed è proprio lì che abbiamo iniziato ad accumulare un ritardo industriale che non ci aiuta.”
“Un altro tema importante che stiamo cercando di promuovere anche a livello europeo è lo stimolo alla domanda. Tramite un mandato, come l’obbligo di elettrificazione delle flotte aziendali (che rappresentano tra il 40% e il 60% del nuovo immatricolato a seconda del Stato Membro), si può generare un rapido mercato dell’usato elettrico garantendo, al contempo, una domanda stabile. O ancora, progetti come il “social leasing”, sperimentato in Francia, possono essere utili. Questo permetterebbe ai produttori di pianificare meglio e, credo, sia un aspetto fondamentale.”
Di questo e di altro ne abbiamo parlato nella nostra diretta di lunedì